Il progetto ideato dal Consorzio di Gestione di Torre Guaceto con il contributo dell’Università del Salento è uno straordinario esempio di pesca sostenibile e tutela ambientale. In passato, il mare di Torre Guaceto è stato meta prediletta dei pescatori professionali ed amatoriali che muovevano da tutta la provincia brindisina. Sino agli anni ’90, per l’attività in queste acque, gli artigiani del posto hanno impiegato tecniche non ortodosse, come, ad esempio, il lancio di piccole bombe. Nel 2001, il neonato Consorzio ha imposto un blocco pesca generale al fine di studiare lo stato della fauna ittica ed un metodo per ripopolare le acque protette. Dopo 4 anni di studio, l’ente gestore, insieme ai pescatori professionali del territorio, ha avviato un’azione pilota per riportare l’attività artigianale nell’AMP e monitorarne gli effetti. Nel 2009, al termine di tutti gli studi del caso, è venuto ufficialmente alla luce il modello di pesca sostenibile di Torre Guaceto. Nell’Area Marina Protetta, sono autorizzati all’attività solo i pescatori professionali, la pratica può essere svolta esclusivamente con reti a maglia larga e le uscite in mare si svolgono una volta a settimana. Possono pescare solo nella zona C della AMP, i pescatori in possesso di licenza specifica e che risiedono nei comuni di Brindisi e Carovigno, territori compresi nell’area di pertinenza della Riserva. In questo modo si è registrato un incremento della popolazione ittica del 400%, un caso diventato di interesse mondiale che ha attratto studiosi provenienti sin dalla California. Non solo. A oggi, la resa di pesca nell’area protetta è pari al doppio rispetto a quella che si registra al suo esterno.